27 SETTEMBRE 2021
“Arrivai in Germania, dal Brasile, subito dopo la caduta del muro di Berlino. Pensavo di lasciarmi alle spalle molti problemi, ma non immaginavo che ne avrei trovati altri, sempre con una matrice comune: il razzismo”.
Rea Mauersberger ha studiato diritto e linguistica in Brasile e in Germania. È la coordinatrice di Iberoamerica, un’organizzazione autogestita di migranti con sede a Jena, in Germania, dove vive, ed è la promotrice di One World per la regione tedesca della Turingia, responsabile per le migrazioni, le diaspore e lo sviluppo.
Dal 1992 è un’attivista per le questioni dei migranti e contro il razzismo a Jena e in Turingia. È anche volontaria presso il Comitato consultivo per la migrazione e l’integrazione della città di Jena, il Comitato consultivo statale per l’integrazione, Eine Welt Netzwerk Thüringen (EWNT) e l’organizzazione ombrello delle organizzazioni di migranti della Germania orientale (DaMOst e.V.).
“Può sembrare assurdo per certi versi, ma oggi la situazione rispetto ai migranti è meno dura di quella degli anni Novanta. Allora la Germania Est veniva da un periodo di isolamento e non era abituata a un’idea di società aperta. Inoltre le grandi incertezze dovute al cambio di sistema economico e politico e alla riunificazione delle due Germanie – spiega Rea – avevano lasciato molta gente senza lavoro, senza le garanzie sociali che avevano prima e questo le rendeva preoccupate, aggressive, arrabbiate. Molti stranieri sperimentarono sulla loro pelle quella rabbia”.
Rea decise di non restare indifferente e di farlo con le sue idee, impegnandosi a dare una voce ai migranti, a sostenerli nel processo di integrazione come soggetti e non solo oggetti, come attori attivi e non passivi.
“Ero un’attivista per i diritti umani già in Brasile. A Jena trovai una situazione molto complicata. Non c’erano strutture adeguate per i rifugiati e non c’erano percorsi di integrazione e figure professionali in quel campo. Mi rimboccai le maniche – racconta Rea – organizzando con i pochi stranieri che vivevano a Jena da tempo un organismo che ci rappresentasse. E ricordo ancora, all’epoca, quanto era difficile parlare con le autorità cittadine, che erano piene di stereotipi e pregiudizi sugli stranieri”.
Furono anni duri, per Rea e per molti stranieri. Ma lei non riusciva a restare indifferente. “Ricordo un ragazzo, negli anni Novanta, arrivava dal Congo. Parlavo francese, ero una delle poche con cui riusciva a comunicare, perché qui la conoscenza delle lingue straniere era molto poco diffusa. Non lo aiutava nessuno, trovarono per lui un alloggio lontano dalla città, in un posto isolato, dove era discriminato e solo. Si tolse la vita. Ecco, per lui come per tutti quelli che oggi annegano nel Mediterraneo, non posso e non voglio restare indifferente”.
Sono tante le battaglie in cui Rea si impegna. E non solo nel combattere il razzismo e per l’integrazione degli stranieri, ma anche per una memoria condivisa. Una delle sue campagne recenti la ha vista impegnata contro il ‘colonialismo del discorso pubblico’, contro le strade dedicate a personaggi razzisti della storia o contro residui coloniali nel linguaggio.
“Abbiamo bisogno di una discussione più intensa negli asili nido e nelle scuole su cosa significhi razzismo”, racconta Rea. “E’ incredibile come oggi, nel 2021, senta dire ancora le stesse cose che sentivo dire nel 1992. Le stesse menzogne, le stesse fake news. Le persone dovrebbero battersi contro l’esportazione delle armi dall’Occidente e contro l’idea che tutto il potere politico ed economico nel mondo è nelle mani di ricchi bianchi. Bisogna diffondere l’idea che sono le disuguaglianze economiche e le guerre i nostri nemici, non i migranti. Come associazioni del territorio cerchiamo di diffondere i vantaggi che l’immigrazione ha portato a questa società, combattendo le bugie, come quella che dal 2015 passa all’opinione pubblica – per colpa di media e politici – che tutti i rifugiati del mondo vogliano venire in Germania. Il razzismo è figlio del colonialismo e della mancanza di memoria. Proprio qui, a Jena, dove tante persone hanno sognato la libertà di movimento per molti anni, non è accettabile che non si riconosca alle persone il diritto a cercare un’altra vita”.