2 DICEMBRE 2020
Buoni vicini, in svedese, si dice goda grannar. Sono tante le persone che, dopo un lungo viaggio, l’hanno imparato. Perché questo è il nome, Goda Grannar, appunto, scelto a Stoccolma per un progetto che, dal 2015, mette in relazione un luogo e una storia, anzi, decine di storie.
Esattamente a metà strada tra la moschea di Stoccolma e la chiesa di Caterina, a pochi minuti a piedi o in auto, si sono trovati due mondi che non hanno parlato delle loro differenze, ma di quello che le univa. E il progetto Goda Grannar è diventato il simbolo di questo incontro.
Dal 2015, infatti, sono migliaia le persone che alla fine di un lungo viaggio, stanche, smarrite, in un paese nuovo, dove non conoscono la lingua e spesso non hanno legami umani solidi, si sono trovati qui, accolti dallo staff dell’organizzazione comune dei due enti spirituali.
“Abbiamo la convinzione comune che, indipendentemente dal credo religioso o dalle origini, o dalla provenienza, possiamo aiutarci a vicenda, imparare gli uni dagli altri, fidarci l’uno dell’altro. Rispettiamo le nostre differenze e ci accogliamo a vicenda, per arricchire le nostra culture con esperienze e conoscenze diverse. Crediamo che la nostra cooperazione possa contribuire a un mondo più pacifico e a una società più aperta. Vogliamo essere buoni vicini.”
Questa la visione del progetto che, nella sua semplicità, è rivoluzionaria. Perché riparte dalle basi dei quell’umanità che, troppo spesso, non è più l’unità di misura delle cose quando si parla di migrazioni, in un discorso sempre più orientato alla politica, alla convenienza, a sottolineare quello che non funziona.
Ecco che, con semplicità, due realtà differenti, di due mondi in apparenza lontani, si mettono in ascolto: non si negano le differenze, ma diventano un momento per imparare, non per allontanarsi.
Come sono vicini i due edifici, sono vicine le mille anime delle nostre società, in Europa come altrove. Ciascuno porta la sua storia, che è a sua volta il risultato finale di mille incontri. Fare del mondo un quartiere, dove ci si conosce, si parla, si scambiano esperienze di percorsi diversi è un modello che, da una manciata di metri a piedi, parla in realtà a tutto il mondo.
Dal 2015, nella sede di Goda Grannar, l’incontro è diventato un metodo. Per conoscersi bisogna parlarsi e capirsi. Ecco allora il servizio di Caffetteria linguistica del centro, un modo amichevole e informale per i nuovi arrivati che vogliono praticare la lingua svedese con i “volontari linguistici”, che a loro volta conoscono persone, storie e culture altre.
Goda Grannar è anche un rifugio sicuro, per chi ne ha bisogno, ed è anche un luogo dove trovare assistenza legale, oltre che un aiuto a cercare e trovare lavoro.
Alcuni volontari di Goda Grannar fanno una cosa semplice: passano del tempo, quando possono, con le famiglie di nuovi arrivati. Provate a immaginare, in un luogo molto lontano dal posto dove siete nati e cresciuti, dai vostri amici e parenti, quanto sia importante trovare qualcuno con cui parlare. Raccontare e ascoltare.
Olle Carlsson, pastore della Chiesa di Caterina, nel 2015, per caso, assistette in Grecia all’arrivo di quella che ancor oggi ricordata come una crisi senza precedenti: centinaia di migliaia di profughi in fuga dalle guerre in Siria, Afghanistan, Iraq e da situazioni disastrose si misero in cammino.
Tornato a Stoccolma decise che bisognava fare qualcosa e, come accade a tutti noi, pensò di chiedere aiuto ai vicini. Ecco che, a pochi metri, Omar Mustafà, della Moschea di Stoccolma, raccolse la sua richiesta d’aiuto e nacque il progetto Goda Grannar.
Non è stato sempre facile, ci sono stati momenti di tensione, accuse, attacchi sui social network. Il progetto, però, non si è mai fermato. Apre ogni giorno a persone che hanno bisogno di un posto per dormire e fare una doccia, mangiare un piatto caldo, ma che hanno anche una storia da raccontare e che vogliono conoscere le storie degli altri. Un mondo intero, in pochi isolati, l’essere buoni vicini, a Stoccolma come ovunque è anche questo: rispettarsi e conoscersi nella diversità.
di Christian Elia