21 APRILE 2021
“La mia vita è sempre stata in Slovenia, spero di rimanere qui. Non ho mai provato cosa significa essere un rifugiato, ma ho viaggiato molto, ho potuto conoscere molti dei problemi e delle dure vite delle persone che affrontano questi viaggi”.
Igor Bratuša è il direttore della Integration House di Maribor, un’istituzione del Ufficio governativo per il sostegno e la cura dei migranti (UOIM) del governo sloveno. Igor potrebbe essere uno dei tanti funzionari che in Europa si occupano di migranti, ma basta parlare con lui del suo incarico per capire quanto un approccio umano sia importante per le persone che lo hanno incontrato sul loro cammino.
“Il mio lavoro in questo campo è iniziato all’inizio del 2003, dopo i miei studi in scienze amministrative nel settore dei richiedenti asilo. Ho iniziato a lavorare con loro nella Casa dell’Asilo di Lubiana. Dopo gli inizi con i richiedenti asilo, ho continuato a lavorare in un altro campo, quello dei rifugiati. È stata una sfida molto più grande per me, perché il lavoro ha richiesto un sacco di nuove competenze. Credo che sia essenziale per il successo dell’integrazione dei rifugiati che venga loro fornito un alloggio adeguato e conveniente non appena hanno acquisito lo status, supportati dall’inizio dal nostro ufficio. L’alloggio è un passaggio fondamentale per l’integrazione, aiuta queste persone dedicare il loro tempo all’apprendimento della lingua slovena e alla ricerca di un alloggio personale, senza vincoli di tempo, dopo il primo supporto iniziale – racconta Igor – L’Integration House si occupa di questo e l’alloggio da noi può arrivare fino a sei mesi in base alle decisioni di una commissione, che decide anche sul ricongiungimento familiare del rifugiato.”
L’Integration House di Maribor è stata ufficialmente aperta nel 2007, ristrutturando l’edificio che durante la guerra nella ex-Jugoslavia aveva accolto i rifugiati dell’epoca. “La precedente disposizione dei centri di alloggio era destinata ai gruppi, mentre noi volevamo organizzare un alloggio su misura per gli individui spiega Igor – abbiamo rinnovato la struttura nel suo insieme e abbiamo organizzato 26 unità indipendenti destinate a singoli, coppie e famiglie. I costi dell’alloggio per i rifugiati sono sostenuti dall’Ufficio governativo per il sostegno e la cura dei migranti (UOIM), noi provvediamo a pulizia e igiene personale, di solito collaboriamo con l’organizzazione della Croce Rossa, che fornisce aiuti alimentari ogni mese. Chi ha bisogno di vestiti può ottenere un aiuto dalla Croce Rossa o dalla Caritas. Nella casa ci sono tre impiegati: il nostro compito è quello di aiutare tutti i rifugiati nei loro primi passi in Slovenia, per conoscere la società in cui vivranno e per aiutarli in tutti i settori nella loro integrazione e della loro nuova vita”.
Igor racconta come Maribor sia una dimensione ideale per inserirsi: “È la seconda città più grande della Slovenia, con tutti i servizi che puoi immaginare (ospedali, università, scuole), ma con il vantaggio di avere una dimensione umana, perché non è troppo grande ed è molto facile da vivere. Il nostro lavoro è importante. La pianificazione delle misure di integrazione e la loro efficace attuazione è essenziale: gli immigrati possono integrarsi con successo nel nuovo ambiente solo attraverso programmi efficaci e, allo stesso tempo, attraverso il processo di integrazione si offre loro l’opportunità di essere attivamente coinvolti nella società del paese ospitante. È un processo che funziona in due direzioni”, spiega Igor, “la nostra capacità di accogliere, la loro volontà di inserirsi. Le cose funzionano se ci impegniamo tutti”.
Nonostante l’impegno, l’organizzazione e le possibilità che offre Maribor, il lavoro di Igor non è facile. “Tutte le storie che ho incontrato nel mio lavoro sono molto stressanti e anche molto dolorose. Devo comportarmi da professionista nel mio lavoro, quindi è importante che tutte queste storie mi tocchino nella misura in cui io personalmente lo permetto. Tutte queste storie tendono a togliere energia, quindi è importante come ognuno di noi supera questo stress – spiega Igor – Ho il mio sistema di chiudere le porte, perché altrimenti il peso sarebbe troppo grande e soccomberei alla pressione di tutte le storie che ho ascoltato dai rifugiati. È importante però che, a prescindere da quanto siano difficili le loro storie, tutti i rifugiati vengano trattati allo stesso modo e che a ciascuno sia garantito l’aiuto più appropriato di cui ha bisogno in quel momento della sua vita”.
Anche se l’approccio è quello di un professionista, non è sempre facile non essere coinvolti.
“Le storie ti toccano molto, specialmente quelle in cui vedi quanta sofferenza queste persone hanno portato con sé”, racconta Igor. “Dobbiamo tenere conto di queste storie nel nostro lavoro, perché spesso solo attraverso le storie e i problemi ad esse collegati si trova una via d’uscita con vari esperti che possono aiutare. In particolare ricordo la storia in cui è stata coinvolta una famiglia che aveva due bambini disabili. La madre non poteva sopportare il peso della nuova cultura e della vita in un altro ambiente e quindi ha lasciato la Slovenia, mentre il padre non si è arreso e sta ancora cercando di far avere a questi due bambini una vita qui”.
Anche la Slovenia ha la sua storia. “A metà degli anni Novanta abbiamo ricevuto molti rifugiati dalla Jugoslavia. Arrivavano come profughi, ma per decenni avevamo convissuto nello stesso paese. C’era un modo diverso di approcciarsi, perché avevamo la stessa storia. Dopo è stato diverso, ci siamo trovati di fronte all’arrivo di rifugiati di altre culture. È stato difficile per loro, perché stavamo appena istituendo il sistema di asilo e l’opinione pubblica non era molto favorevole al nostro lavoro. Con il tempo, anche le persone cambiano, così con l’arrivo di più rifugiati, l’opinione pubblica ha cominciato lentamente a cambiare e a capire che non tutti i rifugiati sono cattive persone. In generale, negli anni del mio lavoro, ho potuto verificare come l’opinione pubblica sta migliorando”, racconta Igor.
“Il confine è solo nella mente delle persone; la gente interpreta il confine come una linea di divisione tra due paesi a modo suo. I confini ci sono sempre stati e rimarranno, ma è una grande responsabilità per tutti noi rendere questi confini accoglienti e dobbiamo farlo le generazioni future”, conclude Igor.
di Christian Elia