11 GIUGNO 2021
“Come tutti i territori di passaggio, la valle del fiume Kolpa è sempre stato un confine. Il periodo della ex-Jugoslavia ha posto tutti nel medesimo stato nazionale, ma anche il quel periodo storico – in fondo – non è mancato un senso di ‘confine’, pensate che cinque villaggi (con un referendum) chiesero di essere amministrativamente in Slovenia e non in Croazia. E in passato qui passava il confine dell’Impero Austro-Ungarico, nel crocevia tra Slovenia, Austria, Ungheria e Croazia. Non c’erano le barriere, ma c’erano le dogane, la polizia di frontiera. Ecco, non c’erano le barriere, quello è ancora oggi, per me, una novità”.
Boris Grabrijan è parte della società e della cultura della valle del fiume Kolpa, che segna per un largo tratto del fiume il confine tra Slovenia e Croazia. Per i croati il fiume si chiama Kupa, ma è lo stesso, resta uguale sempre, mentre la storia cambia. Oggi, che dopo la dissoluzione della ex-Jugoslavia divide due stati, uniti però dall’essere parte dell’Unione europea, sono nate nuove reti metalliche lungo il fiume.
“All’inizio della crisi dei rifugiati, nel 2015, incontravo ogni giorno persone e famiglie che passavano il fiume, lungo il loro viaggio”, racconta Boris. “Oggi no, si nascondono, e li vedo in modo differente: trovo oggetti abbandonati, piccole cose, che raccontano grandi storie. Qui le persone sono accoglienti, sul confine, nei boschi, non è come per i governi. Soprattutto d’inverno, quando il freddo è pungente, le persone offrono cibo e vestiti a quelli che passano, non ci sono problemi. La politica è differente”.
Boris è un figlio della valle. “Sono nato e cresciuto qui, poi il mio lavoro mi ha portato a Lubjana per un periodo, ma quando mi hanno affidato la direzione del parco nazionale della Kolpa son tornato e con mio figlio abbiamo riattivato la fattoria di famiglia, lavoriamo per un’agricoltura in equilibrio con questo territorio unico”.
Davvero unico, come dice Boris. Nel fiume sono registrate 38 specie differenti di pesci, due delle quali ci sono solo in questa zona. Ci sono foreste così vecchie che sono considerate dei veri e propri monumenti naturali, oltre a una incredibile biodiversità che ha fatto del parco uno dei più preziosi d’Europa.
“Questa è una terra di passaggio, di incontro, e anche di scontro”, racconta Boris. “I giovani oggi non ricordano o non conoscono la storia di questa valle, ma io si, e ne parlo sempre. Già il mio cognome racconta di un viaggio, la mia famiglia era di origine armena. Qui arrivarono persone da tutta la ex-Jugoslavia, per ripopolare i villaggi che le incursioni dei militari dell’Impero Ottomano avevano svuotato. Dalla Bosnia-Erzegovina, dal Montenegro, dalla Serbia, dalla Croazia. Non pagavano tasse, non pagavano nulla per la terra, ma si impegnavano a essere i guardiani della frontiera”.
Di quel periodo resta il melting pot religioso, raccontato dagli edifici di culto e dalle tradizioni. Cattolici, ortodossi, ma anche uniati, una minoranza cristiana di rito orientale, quasi una fusione tra cattolici e ortodossi.
“Un altro momento di grandi movimenti si è avuto dopo la Prima e la Seconda Guerra mondiale, quando da questa valle emigrarono in tanti, verso l’Australia, l’Argentina, gli Stati Uniti, il Canada. E la minoranza tedesca lasciò la valle, dopo molti anni, ma c’è ancora una loro presenza.”
Una valle e una storia, quella che oggi in molti attraversano forse senza neanche conoscerla. Migranti di ieri e di oggi, in un paesaggio mozzafiato, ricco di storie e di Storia, che cambia i confini e le vite, mentre il fiume continua a scorrere.
di Christian Elia