23 MARZO 2021
Il monumento alle vittime del naufragio del 2013
I segni delle migrazioni, a Lampedusa, sono ovunque, ma non vanno cercati tra i filmati degli sbarchi, che fotografano senza fine solo un momento, di una storia molto più complessa e favoriscono solo un’immagine distorta di conflitto e invasione.
Nessuno ha invaso Lampedusa, tanti l’hanno attraversata, come è destino per quel bellissimo pezzo d’Italia nel cuore del Mediterraneo, che ha visto passare i secoli e le genti, senza mai chiudersi all’idea dell’incontro, nella navigazione, dell’accoglienza.
Si potrebbe citare la maestosa Porta d’Europa di Mimmo Palladino, per le migrazioni recenti, o passare dall’Archivio Storico di Lampedusa, per perdersi nel fascino delle immagini d’epoca, con i lampedusani che portavano le loro capacità di gente di mare nel mondo.
Un luogo, però, è in particolare da visitare oggi. E’ stato inaugurato nel 2019, in occasione della commemorazione del 3 ottobre 2013, quando un drammatico naufragio prese la vita di 366 persone. Tanti furono portati in salvo, grazie soprattutto all’intervento degli stessi pescatori di Lampedusa.
Attorno a quel monumento, oggi, si gira attorno. In quel cilindro di metallo sono stati incisi i nomi di tutte le vittime: uomini, donne, bambini. Che oggi, almeno, hanno diritto a un nome.
Da quella tragedia, dopo un processo che ha impegnato tante persone, si è arrivati a far partire il progetto SnapShots From The Borders, che oltre a voler fare del 3 ottobre la giornata europea della memoria e dell’accoglienza, ha messo in rete – partendo proprio da Lampedusa, capofila del progetto – tante comunità di confine, che condividono la vita di frontiera, che praticano solidarietà e accoglienza da sempre.
Dai confini d’Europa, considerati troppo spesso periferie, si alza una voce che porta ai governi il messaggio delle frontiere, sulle migrazioni e sull’accoglienza, per condividere buone pratiche e parlare di esseri umani e azioni, non di politica.
Nel 2019, attorno al monumento, sfilavano i sopravvissuti di quel naufragio. Commossi, si stringevano gli uni agli altri, si stringevano ai pescatori che li avevano salvati, venivano accolti – ancora una volta – dai lampedusani.
Nomi che sono vite spezzate, nomi che raccontano storie tutte diverse tra loro, unite da un terribile destino, nomi che raccontano vite che potevano essere e che non sono state.
Quelle vite che oggi raccontano sono per sempre legate a quelle persone che li hanno tratti in salvo. Il monumento si chiama Nuova Speranza, perché ricorda chi ha perso la vita, ma parla di futuro. Parla delle vite salvate e di quelle che un’idea senza umanità di frontiera porta via, togliendo un po’ di futuro a tutti noi.