20 LUGLIO 2020
Passeggiare lungo il mare, sui contrafforti di Malta, è un dono. Tutto il Mediterraneo che c’è, tra mare e cielo, tra Africa ed Europa. La barchetta è proprio là, lungo quella camminata che potrebbe durare fino a girare per l’intero l’isola.
È una barchetta come la immaginano i bambini, come le realizzano con un foglio di carta, cariche della speranza di vederla galleggiare.
Quella di Malta è un ricordo. Quello dei bambini, appunto, quello delle migrazioni. È il Child Migrants’ Memorial, al Valletta Waterfront. Inaugurato nel 2008, ricorda i 310 bambini che partirono alla volta dell’Australia in cerca di una vita migliore, tra il 1950 e il 1965.
“Rispettiamo le loro conquiste. Ci rallegriamo dei loro successi. Ci rammarichiamo per le conseguenze indesiderate della migrazione dei bambini”: questa scritta è incisa sul muro di pietra che circonda un lato della laguna del Waterfront, dove galleggia il Child Migrants’ Memorial, a forma di barca di carta.
Progettato dagli architetti Rune Jacobson e David Drago, evoca “l’infanzia e la fragilità”, come ha ricordato il giorno dell’inaugurazione del monumento il prof. Ploughman, che all’epoca era uno di quei bambini. “Non siamo qui per chiedere un risarcimento o altro, ma per ricordare a tutti quello che è accaduto.”
Il monumento si trova sulla stessa banchina da dove quei bambini sono partiti.
Quei 310 bambini migranti maltesi erano stati inviati in Australia nella convinzione – delle autorità politiche ed ecclesiastiche dell’epoca – che fosse nel loro interesse, con il consenso di genitori o tutori, ma con un peso emotivo per quei piccoli, mandati dall’altra parte del mondo.
Tanti di loro hanno potuto farsi una vita, ma molti di loro hanno sofferto tanto. Negli anni emerse come avessero lavorato presso istituti senza retribuzione e molti non vennero istruiti, rimanendo analfabeti. Qualcuno di loro è stato persino abusato fisicamente e sessualmente. Il trauma che hanno vissuto nel lasciare le loro case, in alcuni casi a soli quattro anni, ha causato ad alcuni dei problemi e degli incubi che hanno segnato la loro vita.
Nell’aprile 2002, i bambini migranti di Malta hanno fondato un’associazione per chiedere che la loro storia non venisse dimenticata. Nel settembre 2005, il governo ha deciso di erigere il monumento, che dal 2008 ricorda a tutti coloro che passeggiano a La Valletta, lungo il WaterFront, come la storia delle migrazioni sia una storia collettiva.
Cambiano gli itinerari, cambiano le rotte, cambiano i mezzi di trasporto, cambiano i periodi storici, le provenienze e gli arrivi, i periodi storici e i contesti, ma ciascuno di noi porta una storia di migrazione.
Nel corso dei secoli, dalle coste di Malta, furono tante le navi che sfidarono la sorte. Nel ‘900 Canada, Stati Uniti d’America, Australia, Gran Bretagna. Nell’800 le mete erano Algeria, Tunisia, Egitto, Libia.
Oggi quelle navi, quelle barchette, fanno il percorso inverso. E portano altri uomini e altre donne, e anche – tanti – altri bambini. Quel monumento ricorda a tutti noi che il viaggio è parte dell’umanità. Quel monumento ricorda a tutti noi che la migrazione, spesso, è dolorosa, ma continua a essere necessaria.
Quella barchetta, sul WaterFront de La Valletta, racconta i sogni di tutti i bambini del mondo, di barchette insicure e piene di speranze, di paure e di sogni. Perché, in fondo, siamo tutti sulla stessa barca.
di Christian Elia