12 APRILE 2021
“Mia madre viene dalle Alpi, nel sud dell’Austria; anche mio padre viene dalle Alpi, ma nel nord della Slovenia. Nel 1945 è fuggito in Austria, con mio nonno, mia nonna e suo fratello maggiore. I partigiani avevano già ucciso due dei suoi fratelli, lui ha assistito a tutto questo da un nascondiglio. Tutta la famiglia di mio padre venne assegnata alla Guardia Nazionale Slovena, che collaborò con i nazisti. Mio nonno e il fratello maggiore di mio padre furono rimandati in Slovenia dall’esercito britannico, il che portò a una morte inevitabile. Ancora oggi non sappiamo dove si trovano i loro resti. Quel trauma non ha mai abbandonato mio padre, che rimase in Austria e chiese asilo. Sua madre tornò in Slovenia nel 1946 e morì nel 1977. Mio padre tornò in Slovenia solo per il suo funerale.”
Per Norbert Ciperle, consigliere comunale del comune austriaco di Traiskirchen, il confine, le migrazioni, le guerre e le fughe sono anche una questione di famiglia.
“Nel 1995 con la mia famiglia mi sono trasferito a Traiskirchen: l’appartamento era nelle immediate vicinanze del grande campo profughi. A quel tempo molte persone dalla Bosnia-Erzegovina e dalle zone di guerra nei Balcani erano nel campo. Ora che i nostri tre figli sono grandi, dal 2015 abbiamo ospitato in casa un ragazzo dell’Afghanistan, che vive in Messico. Grazie alla sua ragazza, una studentessa, ha trovato un lavoro. Qui rischiava di essere deportato verso l’Afghanistan. E noi, per ringraziare il governo messicano che ha dato un futuro ad Alì, ospitiamo uno studente messicano!”, racconta allegro Norbert.
Traiskirchen è nota per il suo vino e la sua trasformazione da città industriale a città di servizi, ma è soprattutto conosciuta a livello sociale, per la varietà di associazioni e la sua comunità solidale. “I programmi di sostegno alla comunità nella pandemia di CoVid19 sono stati innovativi per molte altre comunità – racconta Norbert – e rispetto alle migrazioni il Garten der Begegnung (Giardino degli incontri) è stato fondato nel 2015. È una storia che non viene quasi mai raccontata! Il lavoro svolto dai rifugiati permette di far crescere ortaggi e frutta che vengono forniti a quelli che ne hanno bisogno in città. I rifugiati del vicino campo, la gente della città e le persone delle comunità vicine lavorano tutto assieme nell’orto. Il raccolto viene passato alla popolazione nei giorni di mercato in cambio di donazioni, una gran parte del raccolto va al mercato sociale della città chiamato Der Gute Laden, dove le persone in difficoltà economiche possono acquistare quel che gli serve a prezzi molto accessibili.
Il campo profughi di Traiskirchen ha una lunga storia. “Tutte le persone che chiedono asilo in Austria devono venire qui. La storia del campo racconta la storia del mondo: da quelli che fuggivano dall’Ungheria negli anni ’50, a quelli che scappavano dalla Repubblica Ceca negli anni ’60, passando per i rifugiati dal Cile negli anni ’70, e poi dall’Afghanistan negli anni ’80, passando per le crisi dei Balcani negli anni ’90 fino alle persone in fuga oggi dalla Siria, dall’Afghanistan, dall’Iraq e dai paesi dell’Africa: le persone non sono sempre al sicuro della loro vita. Guerre, sconvolgimenti ambientali, persecuzioni, paura per la propria vita e mancanza di prospettive costringono le persone a fuggire – racconta Norbert – e le storie di queste persone sono dolorose. Abbas ha 16 anni, arriva dall’Afghanistan. È arrivato in Austria nel 2019 e non è stata ancora presa alcuna decisione sul suo futuro: lui è un cosiddetto A4-Act. Il governo austriaco sta aspettando che diventi maggiorenne, poi potrebbero rimandarlo in Grecia, dove è stato registrato per la prima volta nell’UE. A causa della mancanza di una decisione, non gli è permesso di lasciare il distretto di Baden. Questo succede da 18 mesi ed è sempre più depresso. Con un medico che lo segue speriamo di poterlo aiutare a costruirsi un futuro.”
L’Austria, per molti, è una delle tappe dopo aver percorso la Rotta Balcanica. “Molti rifugiati sono arrivati in Europa nel 2015 e si sono stabiliti vicino a comunità provenienti dalla loro patria d’origine. Molti siriani sono andati in Germania, molti afgani sono venuti in Austria. Le statistiche sull’asilo mostrano che molti afgani hanno ricevuto un rifiuto rispetto alla loro domanda di asilo e sono stati quindi costretti ad andare in tribunale per rivendicare i loro diritti. I procedimenti contestati, in Austria, spesso durano molti anni, durante i quali i rifugiati iniziano a farsi una vita. Studiano, lavorano, imparano la lingua, lavorano in associazioni, creano famiglie, hanno figli e una vita con prospettive positive. Con l’accordo di integrazione c’è una base legale che permette a queste persone di rimanere in Austria in modo permanente. Purtroppo, i tribunali applicano solo raramente questo accordo di integrazione, anche se le persone sono diventate da tempo parte di questa società. In Austria, il diritto d’asilo è stato interpretato per 30 anni come fosse un problema di sicurezza e le persone in fuga vengono ritratte come fossero accusate di crimini. Anche i politici di sinistra spesso non distinguono più. Questo è un fenomeno visibile in tutti i governi populisti e di destra. Fomentano la paura. Dobbiamo tutti contrastare questo atteggiamento con la verità. Ogni persona in fuga ha un volto, un nome, una storia e la paura non deve essere generata nell’opinione pubblica.”
Norbert si impegna a fondo per aiutare gli altri e per contrastare i discorsi d’odio. E’ faticoso, ma per lui ne vale la pena. “Appena vedo un sorriso sul volto di una persona è come se il sole sorgesse e questo mi dà molta energia per continuare a garantire una buona convivenza per tutte le persone che vivono qui – racconta Norbert – e non mi stanco di farlo. Sono indignato perché il Ministero degli Interni austriaco sta deportando bambini nati e cresciuti qui, che sono parte di questa comunità. Li rimandano in paesi che non conoscono e di cui non capiscono la lingua. La narrativa generale è quella di legare l’asilo a un reato penale, ma non è così, è un diritto fondamentale degli esseri umani. Sono tante le esperienze che fanno ormai parte di me dal 2015. C’è la storia di una coppia di anziani siriani, i cui figli vivono in Europa, che hanno rischiato la traversata in mare dalla Libia per raggiungerli oppure la storia di una coppia con due bambini piccoli, dall’Iraq, che ha vissuto per strada per mesi, tornati in Iraq perché non ne potevano più. In tutta questa incertezza, però, c’è tanta fiducia in una vita migliore ed è di questa fiducia che dobbiamo parlare. Il 2015 è stato un punto di svolta per tutti noi: quelli che hanno aiutato sanno che è necessario coinvolgere immediatamente le persone della comunità nel soccorso. Semplici cittadini, organizzazioni della società civile, comunità religiose: tutti assieme. Ce l’abbiamo messa tutta, a Traiskirchen, al confine, ad Alberschwende, nelle tendopoli di Krumpendorf, Linz e Salisburgo. Ci abbiamo provato con tutte le nostre forze. Tutti noi abbiamo centinaia, migliaia di storie personali che ci portiamo dentro, quasi come un tesoro che bisogna stare molto attenti a non perdere di nuovo. Il 2015 ha messo me e molti dei miei compagni alla prova per quanto riguarda i nostri valori e mi sento sempre più convinto di aver fatto la cosa giusta. Se salvi una vita salvi un mondo intero.”
di Christian Elia