01 APRILE 2021
“Ricordo ancora una bambina, in mezzo agli autobus che erano pronti a partire. Era terrorizzata non riusciva a trovare la madre tra la folla, tutti abbiamo iniziato a cercarla. Non dimenticherò mai il suo sollievo quando l’abbiamo trovata. Per me non ci sono confini. C’è un aspetto politico, un aspetto legale, certo, ma nel mio cuore non sento confini, non ho un confine. Ci sono persone oneste e persone cattive, persone ricche e persone povere, persone in difficoltà e altre che possono aiutare”.
Istvánné Gavallér è nata e cresciuta sul confine. Kásád è una piccola città di poche centinaia di persone, il punto più meridionale dell’Ungheria. Oggi Istvánné è la sindaca di Kásád, su un confine che è sia fisico – a due passi dalla Croazia – che identitario, dato che lei, come molti altri nella regione, appartiene alla minoranza croata dell’Ungheria.
“Nascere a Kásád significa nascere sul confine, racconta la storia di un confine. All’epoca del trattato del Trianon, dopo la Prima Guerra mondiale, improvvisamente molte famiglie si sono trovate divise da un confine. Fino all’apertura del passaggio di Beremend, in certe località della zona, c’erano persone che dovevano percorrere fino a 50 chilometri per andare da una parte all’altra della stessa città. Conosciamo il confine e le guerre nell’ex Jugoslavia negli anni ’90 hanno portato da noi molti rifugiati dalla Croazia e da altre parti”, dice la sindaca di Kásád. “In Ungheria sono stati accolti con uno spirito di fratellanza, molti di loro sono rimasti in questa regione, ci sono stati anche molti matrimoni misti con la città Torjánc, in Croazia”.
La storia, soprattutto alle frontiere, a volte ritorna, anche se in forme diverse. Qui, nel 2015, in Ungheria, ci sono molti rifugiati dalla Siria e dall’Afghanistan che arrivano lungo quella che viene ancora chiamata la rotta balcanica. Istvánné è lì, pronta a dare una mano, come ha fatto in passato. Prima di diventare sindaca di Kásád, Istvánné si è sempre occupata di questioni sociali, lavorando con famiglie e bambini in difficoltà.
In particolare, ha lavorato con la città di Siklósnagyfalu, un comune di circa 400 abitanti, sul confine e partner del progetto Snapshots From The Borders. “Ho lavorato nella città e nelle comunità della zona. Sono venute molte persone, sono state aiutate, gli è stato dato cibo e bevande, ci siamo presi cura di loro, abbiamo aiutato con le traduzioni, in particolare ci siamo presi cura delle persone fragili: bambini, anziani, disabili”, racconta la sindaca di Kásád.
“C’era certamente una differenza rispetto agli anni ’90, ma non a causa di sentimenti negativi. I rifugiati arrivati allora erano molto vicini alla comunità locale, in termini di tradizioni, cultura, lingua, religione. Le persone qui erano preoccupate, ma non erano mai ostili. In molti casi chiamavano la polizia quando vedevano arrivare gruppi a piedi, ma solo per paura delle conseguenze legali in caso contrario. Non sono mai stati ostili, anche la Chiesa ecumenica locale ha fatto del suo meglio, come noi per i servizi sociali, per aiutare queste persone”, dice Istvánné. “Dopo tutto, la gente qui conosce bene la cultura del confine, noi stessi siamo stati una minoranza per molti anni. Mi sento ungherese, ma anche croata, condividiamo con le città di confine un profondo rapporto umano e culturale, quotidiano, conosciamo il confine”.
Le famiglie venivano aiutate come potevano e poi trasportate a Beremend in autobus o a Magyarboly, dove c’è una stazione ferroviaria, per andare a Budapest. “Ora non c’è un contatto diretto. Ci accorgiamo che qualcuno è arrivato solo quando vediamo il personale dei centri o i poliziotti, ma non vediamo più nessuno – dice Istvánné – forse in altre parti dell’Ungheria è diverso, ma qui siamo fondamentalmente una comunità di confine e siamo sempre stati accoglienti con tutti, anche se l’argomento non è facile, perché suscita sempre molte polemiche”.Nonostante le polemiche, però, Istvánné rimane figlia di una cultura di confine. “Per noi essere nati qui è stato un privilegio: crescere tra due culture, parlare due lingue, su una rotta commerciale e turistica e il rapporto che abbiamo con i nostri vicini oltre confine è un grande patrimonio culturale e umano”.
di Christian Elia