7 DICEMBRE 2020
Le bugie sui migranti si stanno diffondendo in Europa, accusandoli di rappresentare un rischio di infezione da COVID-19. Un nuovo studio mira ad affrontare il diluvio della disinformazione
Minaccia, invasione, crimine, pigrizia, diffusione di malattie: politici e media hanno usato per anni un linguaggio che disumanizza i rifugiati e i migranti e li incolpa dei problemi della società. Un trend che, secondo uno studio recente, è in aumento.
Oltre all’impatto negativo diretto sui migranti che vengono attaccati e diffamati, si rileva anche un cambiamento nella narrazione pubblica sul tema e sui protagonisti.
A sostenerlo il lavoro di un gruppo di ricerca del Centro Europeo per le Politiche (EPC), che sostiene come sia necessario un nuovo approccio per spostare il dibattito e le politiche dalla sicurezza dei confini dall’esclusione ad un approccio umano, incentrato sui diritti e inclusivo, che funzioni realmente.
Il team dell’EPC, guidato da Paul Butcher e da Alberto Horst Neidhardt, ha analizzato centinaia di articoli online sui migranti in Repubblica Ceca, Italia, Spagna e Germania.
Secondo il rapporto, le persone che pubblicano disinformazione sui migranti cambiano il loro messaggio in base alle notizie e hanno anche il vantaggio di non doversi preoccupare della verità o dell’accuratezza.
Cercare di contrastare esempi specifici di “disinformazione”, sostiene il rapporto, attraverso il controllo dei fatti e la pubblicazione di articoli che dimostrano che le affermazioni sono false, non è efficace.
I ricercatori propongono invece che media e responsabili politici raccontino storie diverse, cercando di ‘riformulare’ il dibattito pubblicando narrazioni alternative. Secondo Butcher e Neidhardt bisogna essere “pre-bunking”, più che ”de-bunking”.
La pandemia di COVID-19 è un ottimo esempio. Secondo la ricerca, coloro che diffondono la disinformazione – sostenendo che i migranti sono portatori di malattie, ad esempio – spesso sfruttano le paure diffuse. Queste paure sono comprensibili e devono essere riconosciute, ma i giornalisti non dovrebbero contribuire a diffonderle.
“L’enfasi dovrebbe essere posta sulle aspirazioni e le speranze che si nascondono dietro le paure”, ha detto Alberto Horst Neidhardt. “Chiaramente molte persone sono ragionevolmente preoccupate per le loro prospettive di salute. Ma si può anche riconoscere queste preoccupazioni sottolineando, nel caso dei migranti e dei nuovi arrivati, quello che è stato il ruolo dei professionisti medici di origine straniera nel contribuire alla lotta contro COVID-19”.
Questa strategia è più efficace che indicare perché chi diffonde informazioni false ha sbagliato, secondo Paul Butcher.
“A nessuno piace sentirsi ingannato. Se qualcuno è stato esposto alla disinformazione e questo ha influenzato il suo punto di vista, probabilmente perché ha parlato a una particolare preoccupazione che aveva, allora vedere una specie di contro-messaggio che dice: “no, questo non è vero, e sei stato ingannato da questo”, è in realtà molto probabile che produca una reazione difensiva.
“Quello che in realtà si vuole fare è trovare prima un punto d’ingresso e far sì che il lettore riconosca che il comunicatore è affidabile e che ha a cuore i suoi interessi, e poi usare questo per cambiare l’argomento della discussione”. … Si può quindi cercare di concentrarsi sulle speranze piuttosto che sulle paure, oppure riconoscere la preoccupazione, ma trovare un altro modo di comunicare su di essa, il che non aumenta semplicemente il fascino della disinformazione”, ha detto Butcher.
Secondo i ricercatori, l’obiettivo di questa ‘nuova’ comunicazione devono essere gli indecisi, che sono la maggioranza sul tema delle migrazioni, coloro che non sono né pro né contro la migrazione. La ricerca definisce questo target di comunicazione il ‘centro mobile’.
Un altro think tank, l’International Center for Policy Advocacy, ha fatto la stessa proposta in un toolkit per gli attivisti nel 2018. Hanno detto che nella maggior parte dei paesi europei questo centro mobile si trova tra il 60% e il 70% della popolazione.
Non è possibile sapere empiricamente quali effetti ha la disinformazione sulla società. I ricercatori dicono che è probabile che abbia un ruolo nella polarizzazione dell’opinione pubblica, e i rapporti che hanno esaminato sostengono questa affermazione.
In Italia, secondo le loro ricerche, una narrativa di “invasione” ha influenzato la percezione dell’entità dell’immigrazione irregolare, dice Neidhardt. A volte la forza dell’effetto sembra essere anche nell’altra direzione: I politici che hanno preso la migrazione come uno dei loro temi politici di punta “non solo contribuiscono a disinformare il pubblico diffondendo lo stesso messaggio, ma spesso sono fonte di disinformazione”, ha detto.
Se i media dovrebbero cercare di concentrarsi sulle speranze piuttosto che sulle paure nel coprire l’intersezione tra migranti e COVID-19, per esempio, questo non significa dipingere un quadro roseo della migrazione.
“Non diciamo altro che cercare di sottolineare la narrazione più obiettiva e più equilibrata”, ha detto Neidhardt. “Anche le narrazioni alternative presentate dai media non sono la fine della storia, dicono i ricercatori. La ragione per cui abbiamo bisogno di una normalizzazione del dibattito è che senza di essa non avremo buone politiche. Se c’è un’ulteriore polarizzazione e poi le posizioni politiche diventano ancora più radicali, è improbabile che l’Europa possa trovare una soluzione insieme alla Grecia per evitare situazioni come quelle che le isole greche affrontano oggi”, ha detto Neidhardt.
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di Christian Elia