09 FEBBRAIO 2021
Intervista a Francesca Napoli, esperta di diritto d’asilo
Il 2 febbraio scorso è stato rinnovato, senza le modifiche attese e promesse dalla ministra dell’Interno Luciana Lamorgese, il memorandum Italia-Libia. L’accordo, stipulato nel 2017, sarà rinnovato alle stesse condizioni per altri tre anni. Le organizzazioni umanitarie e molte voci della società civile hanno protestato, chiedendo al Governo italiano di bloccare l’intesa, ma non è avvenuto.
“La situazione, di base, è congelata, ma se possibile è anche peggiorata. I voli di evacuazione dalla Libia delle persone vulnerabili dell’Unhcr sono pochissimi, quelli organizzati da privati sono bloccati perché manca l’autorizzazione del ministero degli Interni italiano”, commenta Francesca Napoli, avvocata, specializzata in diritto d’asilo, con una lunga esperienza sul campo in Colombia, in Sud Sudan, in Libia e a Lampedusa, oggi consulente legale del Centro Astalli a Roma.
“E sarebbe comunque come svuotare il mare con un cucchiaino, perché è già davvero complicato avere una definizione di vulnerabile rispetto alle persone bloccate in Libia. Le condizioni disumane nelle quali sono tenute queste persone aggravano situazioni già complesse per traumi e vulnerabilità pregresse, che si aggravano nei centri di detenzione. Non si parla di modificare questa situazione, per incidere davvero sulla condizione delle persone in Libia, anzi, sono state consegnate altre motovedette italiane alla Guardia Costiera libica. Ente che l’ammiraglio Fabio Agostini,comandante dell’operazione EUNAVFOR MED Irini, ha recentemente elogiato, nonostante non abbia protocolli adeguati e rappresenti un paese instabile. Solo pochi giorni fa, la guardia costiera libica ha sparato a un ragazzo che ha tentato di allontanarsi dopo uno sbarco, spesso non risponde alle chiamate, ma è proprio il metodo di gestione dei soccorsi in mare che non funziona. C’è un video recente che documenta un soccorso in mare, dove l’equipaggio cercava di rianimare un ragazzo senza personale adeguato. Quel ragazzo è morto sul ponte della barca della guardia costiera libica.”
L’accordo con la Libia non è l’unico caso di esternalizzazione delle frontiere dell’Unione europea.
“Quello che è accaduto a marzo scorso al confine tra Turchia e Grecia ha mostrato come funzionino le cose. Basta pensare che la Grecia è stata elogiata dall’Ue per essersi barricata e per aver fatto un sistemico ricorso a una violenza eccessiva verso i civili migranti, così come la Turchia ha mostrato il suo potere di ricatto sull’Ue”, commenta Napoli. “Questa situazione, nel Nuovo Patto sulla Migrazione e l’Asilo, viene cristallizzata. Le modalità degli accordi con paesi terzi, dice il Patto, consiste nel finanziare il blocco dei flussi, senza spendere una parola sulle cause. Il meccanismo dovrebbe essere inverso, perché solo stabilizzare i paesi di partenza e quelli di transito darebbe dei risultati. Invece no, si finanzia il blocco dei flussi, legando addirittura i finanziamenti a un meccanismo premiante che coinvolge la cooperazione allo sviluppo. Eppure gli ultimi decenni hanno dimostrato che nessun muro fermerà i flussi, ma alimenterà solo la criminalità organizzata che gestisce i traffici.”
Lo stesso accade anche altrove, come in Niger, o in Ciad. “Anche altrove, ma non è facile saperlo, perché questi accordi non sono pubblicizzati, ma spesso vengono nascosti nei parternariati. Quasi tutto il Fondo Africa è destinato a questo genere di accordi, che prevedono poi una facilitazione nell’ottenimento dei visti per i paesi che si impegnano a bloccare i flussi. Ma basta andare oltre questa narrazione e indagare per scoprire la situazione reale – commenta Napoli – sono in contatto con alcuni rifugiati in Niger, tenuti confinati nel deserto, senza accesso ad adeguate cure mediche e psicologiche, senza accesso all’istruzione. Una ghettizzazione che viola i diritti umani, civili, economici e politici di queste persone e l’Ue ha nei suoi trattati fondanti il rispetto della dignità della persona. Questa contraddizione è gravissima.Una persona non può essere confinata in una tendopoli nel deserto, è ovvio che, messe in queste condizioni, le persone farebbero qualsiasi cosa e correrebbero qualsiasi rischio pur di uscire fuori da questa situazione.”
Una situazione dove domina, in generale, la confusione. A fine gennaio, a sorpresa (considerato che le condizioni sono le stessa da anni), l’agenzia di controllo delle frontiere esterne Ue, Frontex, ha abbandonato le operazioni in Ungheria, condannata dalla Corte di giustizia UE per essere venuta meno agli obblighi previsti dal diritto dell’Unione in materia di immigrazione.
“Allo stesso tempo, però, Frontex è coinvolta nei respingimenti dalla Grecia alla Turchia”, commenta Napoli, “in un silenzio assordante rispetto a tutte quelle zattere sulle quali donne, bambini e migranti vulnerabili vengono rispediti verso le coste turche sotto gli occhi di Frontex. E in generale è assurdo che nel 2021 manchi una omogeneità nelle procedure europee: un cittadino afgano può avere la protezione sussidiaria in Italia, addirittura l’asilo, ma essere diniegato in Svezia.
Non esiste una procedura condivisa per l’asilo e per la gestione dei flussi.”
Per tutti questi motivi resta fondamentale il ruolo della società civile, come ha dimostrato la recente condanna del Tribunale di Roma per le “riammissioni” dall’Italia alla Slovenia a danno dei migranti che hanno esposto queste persone, tra cui richiedenti asilo, a “trattamenti inumani e degradanti” lungo la rotta balcanica e a “torture” in Croazia, fino al respingimento in Bosnia-Erzegovina.
“Questo caso dimostra come l’advocacy sia molto importante – commenta Napoli – se non ci fosse stata tutta questa attività di sensibilizzazione e di denuncia, grazie a ong e associazioni che hanno raccolto informazioni e documentazione lungo la rotta balcanica, materiale che ha permesso di istruire un ricorso, non ci sarebbe mai stata la sentenza di condanna per l’Italia. Fare luce, tenere viva l’attenzione, aumentare la consapevolezza nella società civile su quanto accade alle frontiere è importante. Ed è importante farlo con una narrazione che mette al centro le vite e le persone, non i numeri, che finiscono per contribuire alla disumanizzazione dei migranti.”
di Christian Elia