09 MARZO 2021
La Resignation Syndrome non è solo un problema della Svezia
È come se, a un certo punto, il tempo si fermasse. Ragazzi e ragazze, spesso molto giovani, che si chiudono sempre più in loro stessi, smettono di uscire, di avere relazioni sociali, in alcuni casi arrivano a smettere di parlare, di camminare. Smettono anche di aprire gli occhi.
La hanno chiamata Resignation Syndrome, colpisce i figli dei richiedenti asilo e sembra farlo solo in Svezia. Un recente articolo della BBC ha riportato l’attenzione su una sindrome dolorosa, terribile, che nella maggior parte dei casi registrati, per fortuna, è solo temporanea.
Gli operatori sanitari che trattano questi bambini concordano sul fatto che il trauma vissuto, lungo il viaggio, o nell’allontanamento da casa, o peggio, è quello che li ha portati, semplicemente, a ritirarsi dal mondo. I bambini più vulnerabili sono quelli che hanno assistito a violenze estreme, spesso contro i loro genitori, o le cui famiglie sono fuggite da un ambiente profondamente insicuro.
La Resignation Syndrome è stata segnalata per la prima volta in Svezia, alla fine degli anni ’90.
Sono stati segnalati più di 400 casi solo nel biennio 2003-2005. Negli ultimi dieci anni, il numero di bambini segnalati affetti dalla sindrome da rassegnazione è diminuito. Il National Board of Health svedese ha recentemente affermato che ci sono stati 169 casi nel 2015 e nel 2016.
“A nostra conoscenza, nessun caso è stato accertato al di fuori della Svezia”, ha dichiarato alla BBC il dottor Karl Sallin, pediatra dell’Astrid Lindgren Children’s Hospital, parte del Karolinska University Hospital di Stoccolma. “Se si guarda al primissimo caso, nel 1998 nel nord della Svezia, non appena quel caso è stato segnalato, c’erano altri casi emergenti nella stessa area. E ci sono stati anche casi di fratelli in cui prima si sviluppa in uno e poi nell’altro. Ma va notato che i ricercatori che hanno proposto quel modello di malattia, non sono certi che ci sia bisogno di un contatto diretto tra i casi. È un argomento di ricerca”.
Rispetto al fatto che la sindrome sembri manifestarsi solo in Svezia, lo stesso dott. Sallin ha dichiarato alla BBC: “La spiegazione più plausibile è che ci siano dei fattori socio-culturali che sono necessari affinché questa condizione si sviluppi. Un certo modo di reagire o rispondere a eventi traumatici sembra essere legittimato in un certo contesto”.
Il mondo intero ha conosciuto la sindrome grazie al lavoro di un fotografo svedese, Magnus Wennman, le cui immagini sono state tra le finaliste del World Press Photo nel 2018.
Ma cosa hanno in comune questi bambini e questi ragazzi colpiti dalla Resignation Syndrome?
Sono tutti figli di rifugiati, a cui lo stato svedese ha revocato – o rischia di revocare – il permesso di soggiorno. Bambini che crescono in famiglie appese al filo del rinnovo, arrivati piccoli, o molto piccoli, in Svezia, cresciuti imparando una lingua e una cultura spesso molto differenti da quelle dei genitori e incastrati in una trafila burocratica che rischia di rispedirli indietro, qualsiasi cosa “indietro” significhi.
Questa condizione legale dei parenti e la specificità geografica della sindrome hanno portato, in Svezia, a grandi polemiche, perché per molti oppositori dell’accoglienza dei migranti, dei rifugiati e richiedenti asilo si tratta di una messinscena. Quasi tutte le fonti mediche, in Svezia, hanno sconfessato questa lettura.
Un caso fuori dai confini svedesi esiste. È quello emerso in alcuni rapporti dall’isola di Nauru, dove l’Australia ha un accordo con il governo locale per confinare i richiedenti asilo in attesa della risposta rispetto alla loro protezione internazionale.
L’attenzione dei media e delle organizzazioni che si battono per il rispetto dei diritti umani in Australia venne attirata dal caso di una bambina che sull’isola di Nauru presentava gli stessi sintomi di alcuni suoi coetanei nella sua stessa condizione in Svezia. In alcuni casi, a Nauru, ci sono bambini confinati da cinque anni, con poche o nessuna speranza di trovare un luogo di reinsediamento sicuro. I loro problemi di salute mentale sono aggravati dalla mancanza di supporto e di servizi di salute mentale e dall’accesso limitato al sostegno familiare. La depressione dei genitori isola ulteriormente i bambini vulnerabili.
La Resignation Syndrome potrebbe essere un segnale d’allarme drammatico da non sottovalutare, perché un certo tipo di trauma potrebbe riguardare sempre più minorenni e adolescenti dei quali, per le leggi internazionali, gli stati sono responsabili.
di Christian Elia