06 LUGLIO 2021
Game è una performance realizzata da un’ong in Bosnia-Erzegovina per tentare una narrazione diversa di rifugiati e migranti
“La performance Game è stata prodotta nell’ambito del progetto IMPACT in collaborazione con il teatro giovanile di Mostar. Il gioco è stato ispirato dalla serie di workshop realizzati a Mostar con i rifugiati e gli ospiti del campo profughi di Salakovac, vicino a Mostar. Durante i workshop, lo staff dell’Agenzia della Democrazia Locale di Mostar (ADL) e i giovani artisti, gli attori del teatro giovanile di Mostar, lavorano con le famiglie dei rifugiati utilizzando i metodi della pedagogia teatrale. Durante questo processo siamo riusciti a stare molto vicini a queste famiglie e siamo ancora in contatto con alcune di loro. L’intero processo è stato molto intimo e pieno di storie personali difficili e dure di persone che hanno passato tutta la loro vita nella guerra e hanno perso la maggior parte della loro famiglia. Persone che vogliono solo vivere una vita serena e assicurare un futuro ai loro figli. Queste storie personali sono state una grande ispirazione per tutti noi e specialmente per i giovani attori e il regista dello spettacolo Game, che sono riusciti a condividere queste storie con il pubblico in un modo unico. Abbiamo organizzato una diretta su Facebook e insieme alle famiglie, agli utenti del campo di Salakovac e ai partecipanti ai nostri workshop, grazie allo spettacolo online, siamo stati seguiti anche da alcuni che erano passati dal campo e che adesso sono nel Regno Unito. Questo è stato il momento più toccante di tutto il processo. E questo è qualcosa che rende questo progetto molto più di un semplice progetto”.
Così Dzenana Dedić, direttrice di ADL Mostar, racconta un’esperienza unica nel suo genere: lavorare con i rifugiati in Bosnia-Erzegovina con lo strumento del teatro, un mezzo per curare attraverso il racconto (interiore ed esteriore) traumi e ferite che non si vedono, in un paese che ha conosciuto l’orrore della guerra e che oggi accoglie decine di migliaia di persone in fuga dalla guerra. Ma cosa è ADL?
“L’ADL di Mostar partecipa attivamente alla costruzione della democrazia a livello locale, attraverso più di 200 diversi progetti e attività realizzate non solo a livello locale ma anche regionale, dal 2014 – racconta la direttrice Dedić – rispetto alle migrazioni, abbiamo iniziato ad occuparcene molto prima che le rotte passassero dalla Bosnia – Erzegovina. La situazione nella città di Mostar, che è una città divisiva, è stata particolarmente interessante, e le divisioni sono sorte come risultato delle migrazioni durante la guerra degli anni Novanta, ma anche con le migrazioni post-belliche. Come parte del progetto Urgent siamo il partner locale del progetto Snapshots From the Borders, unico partner non UE, e qui siamo stati coinvolti nel momento in cui non c’erano ancora migranti in Bosnia-Erzegovina e il nostro ruolo era quello di condividere la nostra esperienza e diffondere i risultati del progetto”.
Una scelta quanto mai importante alla luce di quanto accaduto in questi anni. “Come è cambiata la situazione dei migranti in Bosnia-Erzegovina è cambiato anche il nostro ruolo nel progetto. Abbiamo impiantato alcune attività che non erano state pianificate in origine, come l’evento nazionale, la proiezione di documentari, la firma di petizioni”, racconta Dzenana. “Anche nel periodo dell’implementazione del progetto abbiamo contribuito con la performance teatrale Game in risposta all’impossibilità di realizzare attività a causa delle restrizioni della pandemia. Inoltre, insieme al partner di progetto ISCOMET dalla Slovenia e con la Facoltà di Scienze Politiche di Sarajevo, abbiamo organizzato una conferenza online per ragionare sullo stato attuale della situazione dei migranti nel nostro paese. In questo contesto, il progetto Impact ha usato le arti dello spettacolo come strumento di inclusione sociale e opportunità di coesione e tolleranza”.
A livello personale quando è iniziato l’impegno civile, prima di diventare direttrice di ADL?
“Questo lavoro mi ha aiutato a vedere tutte le differenze, ma anche le somiglianze tra la mia situazione personale e la loro come rifugiati. Le differenze sono soprattutto amministrative, geografiche, politiche e le somiglianze sono personali, emotive e morali. L’obiettivo, per me e per ADL, è quello di migliorare la coesione sociale nelle comunità locali, promuovendo l’integrazione dei migranti attraverso lo sviluppo di politiche urbane che favoriscono il dialogo interculturale e l’uso dello spazio comune. Affrontando le questioni e i problemi concreti dei migranti e delle comunità locali attraverso azioni concrete abbiamo cercato di superare gli stereotipi sui migranti e i rifugiati, per guardare un rifugiato da una prospettiva diversa. La mia prima prospettiva su questo argomento era personale, perché sono stata una rifugiata anche io”.
Nonostante tanti, in Bosnia-Erzegovina, abbiamo un vissuto molto duro a causa della guerra degli anni Novanta, sembra scomparsa la solidarietà verso i migranti e i rifugiati di oggi. Cosa è accaduto, come è la situazione nel paese?
“La situazione è molto complicata sia per i migranti che per le comunità locali e lo stato nel suo complesso – racconta Dedić – in tanti attraversano il confine con il Montenegro e la Serbia per entrare qui e andare verso il confine con la Croazia, che è anche il confine dell’UE, ma viene loro impedito il passaggio. Il ritorno in Bosnia-Erzegovina è spesso violento, con aggressioni verbali e fisiche. Ci sono diversi campi per i migranti soprattutto nella zona di Sarajevo e Bihac e un campo a Mostar, principalmente per le famiglie. I maschi adulti single spesso non vogliono affatto stare nei campi o lo vogliono molto raramente. Cercano costantemente di attraversare il confine in un tentativo chiamato Game. Inoltre, i campi esistenti vicino al confine con la Croazia sono stati a lungo in condizioni molto dure e non hanno fornito le condizioni di vita minime per i migranti. Anche la situazione politica in Bosnia-Erzegovina non è favorevole alla risoluzione di questo problema. Le autorità della Repubblica Srpska (l’entità dei serbi di Bosnia nata dopo la guerra ndr) senza grandi divieti, permettono ai migranti di entrare da Serbia e Montenegro e non vogliono migranti sul loro territorio e non permettono la costruzione di campi. Tutti i migranti che entrano in Bosnia-Erzegovina attraversano il territorio e aspettano l’opportunità di partire ancora. La Bosnia- Erzegovina cerca di affrontare questo problema e il peso maggiore è sulle comunità locali.
L’opinione dei cittadini e il loro atteggiamento verso i migranti è diviso. Alcuni si identificano con i migranti perché essi stessi sono stati rifugiati nel loro paese durante la guerra, altri credono che la maggior parte dei migranti appartenga ai movimenti politici dei paesi arabi o che siano individui con un retroterra criminale, quindi hanno un atteggiamento totalmente negativo. Ci sono diverse ONG umanitarie che cercano di dare l’aiuto umanitario di base a questa gente. È molto presente il fantasma della guerra e ci sono ancora molte persone in Bosnia-Erzegovina che vogliono sostenere le persone in difficoltà, ma la situazione non è semplice”.
di Christian Elia